Il dialogo in famiglia: prospettive diverse
Saverio Abruzzese nel testo “Sulle tracce dei figli” riporta un suo studio che intende spiegare la percezione del dialogo in famiglia: in una scuola media inferiore distribuisce un questionario a genitori e figli, la domanda posta è “come ritieni il dialogo in famiglia fra genitori e figli?”.
Dai questionari risulta che per i genitori la comunicazione in famiglia è perfetta, senza problemi di comunicazione intergenerazionale; mentre i ragazzi affermano che nelle loro famiglie c’è un’assoluta mancanza di comunicazione con gli adulti. Abruzzese precisa che i ragazzi che hanno compilato il questionario sono i figli di quegli stessi genitori! Risultato: la comunicazione è spesso errata e viene analizzata da prospettive diverse.
Un monologo non è un dialogo
Quando un genitore crede di essere ascoltato dal figlio è convinto che fra di loro ci sia un ottimo dialogo. Non è così però. Infatti se il genitore parla e il figlio ascolta, non c’è dialogo. Se il genitore parla e il al figlio si limita a un rapido cenno di assenso col capo, non c’è dialogo. Se il genitore chiede al figlio se va tutto bene e il figlio tace, non c’è dialogo. «In questi casi la comunicazione è a una via, non c’è circolarità». Ciò che manca è la capacità di ascolto: inevitabile per ogni buona comunicazione.
Aiutare senza sostituirsi
Domandare e rispondersi da soli non crea dialogo. Il suggerimento è quello di non anticipare le domande dei figli, ma attendere che siano loro a porle ai genitori. L’importante è non aver fretta di risolvere tutti i problemi dei figli perché, così facendo, essi non avranno l’opportunità di imparare a risolverli da soli. Se si lascia spazio e ampio respiro l’intervento dei genitori sarà efficace e il loro ruolo educativo migliore.
Per approfondire la tematica clicca qui per accedere alla scheda del libro “Sulle tracce dei figli”.